Coda di Bue al Forno
La Coda di Bue al Forno è un secondo piatto particolare, ottimo da gustare a pranzi o cene in famiglia o con amici.
Per la Coda di Bue al Forno disporre tutti gli ingredienti dosati sul piano di lavoro.
Lavare per 120 minuti sotto acqua corrente, asciugare con carta assorbente da cucina la coda a pezzi e tenere da parte.
Lavare, asciugare con carta assorbente da cucina le foglie di prezzemolo, tritarle e tenere da parte
Pulire, lavare, tritare la cipolla e tenere da parte.
Pelare, lavare, le carote e tenere da parte.
Lavare, pestare con la lama di un coltello la gamba di sedano, tagliarla a pezzetti e tenere da parte.
Lavare, asciugare con carta assorbente da cucina il rametto di timo e tenere da parte
In un piatto fondo mettere il pangrattato e tenere da parte.
In un pentolino fondere 50gr di burro e tenere da parte.
In una pentola piena di acqua bollente leggermente salata, mettere i pezzi di coda e cuocere per 15 minuti, sgocciolarli e tenere da parte.
In una pentola mettere le fette di lardo, il trito di carota, di cipolla, di sedano, il chiodo di garofano, il rametto di timo, l’alloro, i pezzi di coda, pepare, salare e coprire il tutto con acqua fredda e cuocere per 3 ore a fuoco basso.
La carne sarà cotta quando si stacca spontaneamente dall’osso.
Sgocciolare i pezzi di coda.
In una teglia da forno imburrata disporre ordinatamente i pezzi di coda, salare, pepare, cospargerli con un po’ di burro fuso e metà del pangrattato, versare il rimanente burro fuso e pangrattato.
Infornare a forno caldo a 200°C fino a doratura dei pezzi di coda.
Sfornare e depositare i pezzi di coda ordinatamente su di un piatto di portata.
Servire in tavola la coda direttamente su piatto di portata.
Nota
Far tagliare dal macellaio la coda a pezzi, per noi sarebbe molto difficoltoso ottenere i pezzi di coda di bue.
La Coda di Bue al Forno è un secondo piatto della tradizione culinaria laziale.
Il lardo è il prodotto della salagione, aromatizzazione e salatura dello strato di grasso che si trova appena sotto la cute del maiale. Questo taglio grasso del maiale si preleva dal collo, dal dorso e dalla parte alta dei fianchi dell’animale.
Il nome lardo sarebbe da attribuire propriamente al prodotto stagionato, mentre il taglio di carne grassa da cui il lardo si produce, ordinariamente sarebbe corretto chiamarlo “grasso fresco”, per distinguerlo dal prodotto stagionato. Tale distinzione linguistica non sempre è osservata nel linguaggio corrente.
La parola lardo deriva dal latino lār(i)dum, privo di connessioni indoeuropee chiare; in greco antico: λαρινός, lārīnós («ingrassato») ma non è sicuro se sia collegato alla parola latina; lardum è passato, attraverso il francese antico lard, all’inglese, oltre che al greco antico λάρδος, lárdos e al greco moderno λαρδί, lardí
l più conosciuto è probabilmente il lardo di Colonnata che, per il suo gusto unico e la sua delicatezza, ha reso famosa la località toscana da cui prende nome, sulle Alpi Apuane.
La qualità del lardo dipende della scelta delle materie prime, dalla qualità del “grasso fresco” che deve essere di suino pesante, agli aromi con i quali viene strofinato e dalla sapiente arte della stagionatura che ancora oggi viene fatta nelle vasche di marmo (conche) in cui il prodotto rimane per circa 6 mesi.
Un altro tipo è il il lardo Arnad che, a differenza del precedente, viene stagionato in vasche di legno e insaporito con aromi come ginepro, alloro, noce moscata, salvia e rosmarino. Il Lardo di Arnad è una Denominazione di Origine Protetta.
Il lardo è stato riconosciuto dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali come prodotto tradizionale su proposta della Basilicata e del Piemonte.