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Crepes al Tartufo

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Ingredienti

Regolare le porzioni
100gr Lingua a fette
100gr Emmental a fette
40gr Tartufo nero
50gr Farina 00
50gr Burro
Impasto per crepeses
50gr Farina 00
10cl Latte
30gr Burro
4 Uova
qb Sale

informazioni Nutrizionali

11,3g
Proteine
153k
Calorie
16,8g
Grassi
1,4g
Carboidrati
0,6g
Zuccheri

Crepes al Tartufo

Crepes al Tartufo

Caratteristiche:
  • Tradizionale

Disporre le crepes sul piano di lavoro, depositare su di ognuna 1 fetta di lingua, 1 fetta di emmental, qualche fettina di tartufo arrotolarle su sé stesse in modo stretto.
Passare le crepes arrotolate nella farina in ogni loro parte, scrollarle per far cadere la farina in eccesso.
In una padella antiaderente mettere a sfrigolare il burro.
Aggiungere le crepes a friggere rapidamente in ogni loro parte per renderle leggermente croccanti.
Depositale in bel ordine su di un piatto di portata.

  • 25
  • Serves 6
  • Facile

Ingredienti

  • Impasto per crepeses

Direzione

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Crepes al Tartufo

Le Crepes al Tartufo sono un antipasto particolare e sfizioso, è ideale per un pranzo od una cena importante con familiari ed amici o per un buffet.

Per le Crepes al Tartufo
disporre tutti gli ingredienti dosati sul piano di lavoro.

Sul piano di lavoro, con l’apposito attrezzo,
affettare il tartufo, mettere le fettine su di un piatto
e tenere da parte.

Mettere 50gr di farina su di un piatto piano
e tenere da parte.

 

Preparare le crepes:
In un pentolino antiaderente far sciogliere il burro a fiamma bassa
e tenere da parte.

In una ciotola mettere la farina e farla sciogliere con il latte
mescolando con una forchetta.

Aggiungere le uova, il sale, il burro fuso tiepido
e frustare con lo sbattitore elettrico
al fine di ottenere un composto liscio ed omogeneo.

In una padella per crepes,
o in una padella antiaderente di 22cm di diametro,
far sciogliere 20gr di burro,
a fuoco moderato.

Versare 2 cucchiai di composto preparato,
agitare la padella in modo che il composto ricopra tutta la superfice della padella,
e far rassodare da una parte.

Montare l’altra parte di padella per crepes
e girarla per far rassodare la crepe anche dall’altra parte,
se non si possiede la padella apposita,
aiutarsi con un piatto piano per girare la crepe dall’altro lato,
come fare una frittata.

Depositare la crepe cotta su di un piatto di portata
e continuare come sopra descritto fino ad esaurimento del composto.

Ogni tanto mescolare il composto per evitare che la farina depositi.

Disporre le crepes sul piano di lavoro,
depositare su di ognuna 1 fetta di lingua,
1 fetta di emmental, qualche fettina di tartufo arrotolarle su sé stesse
in modo stretto.

Passare le crepes arrotolate nella farina in ogni loro parte,
scrollarle per far cadere la farina in eccesso.

In una padella antiaderente mettere a sfrigolare il burro.

Aggiungere le crepes a friggere rapidamente in ogni loro parte
per renderle leggermente croccanti.

Depositale in bel ordine su di un piatto di portata.

Servire in tavola calde sui piatti di portata.

 

Nota
Un tartufo è il corpo fruttifero di un fungo Ascomycota sotterraneo. La maggior parte dei tartufi appartengono al genere Tuber, ma esistono anche altri generi di funghi appartenenti a questa categoria oltre un centinaio.

Talune specie di tartufo costituiscono un’essenza alimentare estremamente pregiata, ricercata e costosa; altre specie sono invece considerate di poco pregio o, talvolta, perfino lievemente tossiche. In ogni caso i tartufi emanano un tipico profumo penetrante e persistente che si sviluppa solo a maturazione avvenuta e che ha lo scopo di attirare gli animali selvatici come maiale, cinghiale, tasso, ghiro, volpe, nonostante la copertura di terra, per spargere le spore contenute e perpetuare la specie. Tali frutti ipogei vengono individuati con l’aiuto di cani e raccolti a mano.

La scienza che studia i tartufi si chiama idnologia e deriva dal greco ὕδνον, hýdnon.

Le specie di questo genere presentano il carpoforo globoso, con la superficie esterna (peridio) liscia o verrucosa, l’interno (gleba) marmorizzato, spore brune, sub-globose o ellissoidali, reticolate o spinose.

Lo storico Giordano Berti, fondatore dell’Archivio Storico del Tartufo, ha dimostrato in modo convincente che il termine tartufo deriva da terra tufide tubera o anche da terra tufule tubera. Questo titolo appare in testa a un’illustrazione della raccolta del tartufo contenuta nel Tacuinum sanitatis, codice miniato a contenuto naturalistico risalente al XIV secolo, conosciuto in diverse versioni. Il termine tartufo deriva quindi, secondo Berti, dalla somiglianza che si ravvisava tra questo fungo ipogeo e il tufo, pietra porosa tipica dell’Italia centrale. Il termine si contrasse poi in terra tufide e nei dialettali tartùfola, trìfula, tréffla, trìfola. Il termine tartufo cominciò a diffondersi in Italia nel Seicento, ma nel frattempo la dizione volgare era già emigrata in Europa assumendo varie dizioni.

I tartufi sono relativamente rari, in quanto la loro crescita dipende da fattori stagionali, oltre che ambientali. In certe annate di particolare scarsità arrivano a costare cifre molto elevate. Nel 2016 un importante cuoco cinese pagò oltre 100.000 euro per un unico esemplare di tartufo bianco di 1170 grammi, messo all’asta. L’Italia è il primo produttore ed esportatore al mondo del Tuber magnatum bianco pregiato per quanto riguarda la qualità e quantità; nell’intera Penisola è possibile raccogliere tutte le specie di tartufo impiegate in gastronomia.

Le più importanti zone di produzione di tartufo bianco, per via della loro conformazione geografica, sono il Piemonte (in particolare Alba, in provincia di Cuneo, la provincia di Asti, la Provincia di Alessandria in particolare le Valli Curone, Grue, Ossona e Borbera e una parte della provincia di Torino), la Lombardia sud-orientale (Carbonara Po, in provincia di Mantova, nella protetta Isola Boscone), l’Emilia Romagna (tutta la fascia appenninica a partire da Piacenza, e in particolare i colli bolognesi e forlivesi), la Toscana (specialmente i comuni di San Miniato, in provincia di Pisa e San Giovanni D’Asso, in provincia di Siena), l’Umbria (Città di Castello, Umbertide, Gubbio e Norcia, in provincia di Perugia), le Marche (con in testa Acqualagna e Sant’ Angelo in Vado, in provincia di Pesaro-Urbino; molto apprezzata anche la zona dei Monti Sibillini), l’Abruzzo con il paese di Ateleta, in provincia dell’Aquila, Quadri (provincia di Chieti), e il Molise, le cui zone di maggior raccolta sono quelle ricadenti nei comuni di Larino e Spinete, in provincia di Campobasso, e Frosinone, San Pietro Avellana e Vastogirardi in provincia d’Isernia.

Molto più comune invece il tartufo nero, che vede in Umbria e in Molise alcune delle zone più vocate alla sua produzione, sia della varietà estiva (il cosiddetto scorzone), sia della più pregiata varietà invernale (Tuber melanosporum). Altre produzioni, di recente scoperta, si individuano in Campania (Sannio e Irpinia), Puglia (Roseto Valfortore), Basilicata, Calabria e Sicilia, dove i tartufi hanno iniziato a essere valorizzati solo in tempi recentissimi.

Il Delta del Po, in Veneto, è un’altra zona che bene si presta a ospitare la produzione dello scorzone, ma anche del Tuber albidum, detto marzolino o bianchetto.

In Italia è sempre possibile raccogliere tartufi, salvo durante il periodo di fine aprile. Tradizionalmente la raccolta era compiuta impiegando un maialino.

Il problema di tale metodo è che il maiale è ghiotto di tartufi, ed occorre trattenerlo per impedirgli di mangiare il ritrovato. Inoltre è vietato dalla legge poiché nella ricerca causa danni ambientali. Invece in alcune regioni della Francia, in particolare nel Lot e nel Perigord, si usa ancor oggi andare in cerca di tartufi con maiali perfettamente addestrati.

Al giorno d’oggi, in Italia si impiegano esclusivamente cani debitamente addestrati. Non si impiegano razze particolari (a parte il lagotto romagnolo), al contrario in genere si sceglie un meticcio di piccola taglia.

La coltivazione del tartufo o tartuficoltura è allo stadio sperimentale in Italia ed in Francia. Per creare un terreno adatto alla produzione intensiva del tartufo, o tartufaia coltivata, occorre scegliere un terreno calcareo e povero di humus, scegliere una varietà di tartufo ed impiantare essenze arboree ed arbustive tartufigene (Quercia, Nocciolo, Salice, Leccio e Pioppo). I risultati della tartuficoltura sono stati deludenti con le specie più pregiate di tartufo (Tuber Magnatum), mentre con le altre, la produzione raggiunge ottimi livelli di qualità e quantità. Data la forte domanda non ci sono stati ancora forti impatti sui prezzi.

Raramente viene commercializzato intero e fresco, a causa del costo esorbitante, della difficoltà di trasporto e conservazione e della caratteristica attitudine del tartufo a essere trasformato in modo creativo. È sufficiente infatti una ridottissima quantità di tartufo per insaporire un piatto o una salsa e l’enorme valore aggiunto della lavorazione stimola il proliferare di piccole imprese di trasformazione.

Vengono preparati normalmente vasetti con tartufi interi di piccole dimensioni e anche altri prodotti a base di tale fungo: carpaccio (ovvero a fettine molto sottili), salse pronte comprendenti in genere una base di funghi, che si prestano all’uso su crostini, frittate, bruschette, pasta di grano duro, pasta fresca o di soia, bistecche di filetto. Altre preparazioni comuni sono la grappa e l’amaro al tartufo.

Gli oli di oliva aromatizzati al tartufo sono molto richiesti, ma a causa di difficoltà insite nel processo di produzione, la maggior parte di essi vengono preparati con aroma di sintesi a base di bis-metiltiometano. Tale aroma viene spesso aggiunto anche a salse con polpa di tartufo. Per evitare di acquistare prodotti sintetici occorre osservare se sull’etichetta appare la dicitura “aroma” che significa, in pratica, a base di bis-metiltiometano]. Quando il prodotto è naturale in genere non appare alcuna specifica oppure è specificato come “aroma naturale”. Alcune preparazioni particolari si stanno affermando grazie all’inventiva dei produttori, come le peschette al tartufo d’Abruzzo, preparati con pesche verdi nane, olio ed aceto.

Queste sono le specie la cui raccolta è consentita in Italia. Esistono altre specie, lievemente tossiche e di odore nauseabondo, e che quindi non si prestano alla raccolta. Non esistono specie molto tossiche o velenose.

Tartufo bianco pregiato, Tuber Magnatum Pico, Tartufo nero pregiato, Tuber Melanosporum Vittad, Tartufo moscato De Ferry, Tartufo nero estivo Scorzone, Vittad, Tartufo uncinato Chatin, Tartufo nero invernale Vittad,

Tartufo bianchetto o Marzolino Vittad, Tuber albidum Pico, Tartufo nero liscio Vittad, Tartufo nero ordinario o tartufo di Bagnoli Vittad, Tartufo rossetto Pico.

La denominazione Vitt. o Vittad. si riferisce a Carlo Vittadini, scopritore di diverse specie.

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La mia collezione personale di ricette. Provale sono tutte state preparate e provate personalmente. Buon appetito :D

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