Fettuccine alla Modenese

Pubblicità

Fettuccine alla Modenese

Le Fettuccine alla Modenese sono un primo piatto gustoso, ideale per un pranzo od una cena importante o in famiglia o con amici.

Per le Fettuccine alla Modenese
disporre tutti gli ingredienti dosati sul piano di lavoro.

Togliere il burro dal frigorifero
e tenere a temperatura ambiente.

Pelare il peperone con il pela-verdure, eliminare il torsolo,
i semi, le coste bianche interne, tagliarlo a listarelle e tenere da parte.

Sul piano di lavoro, con un coltello ben affilato,
tagliare a dadini il prosciutto cotto e tenere da parte.

Scolare i pisellini, lavare sotto acqua corrente,
asciugare con carta assorbente da cucina e tenere da parte.

Pulire con carta assorbente da cucina, il tartufo asportando tutte le impurità.

Sul piano di lavoro, con un coltello ben affilato,
affettarlo sottilmente e tenere da parte.

 

In un pentolino mettere a scaldare la panna,
togliere dal fuoico al primo bollore e tenere da parte.

 

Se si desidera fare le fettuccine o tagliatelle all’uovo in casa:

Ingredienti:

  • 400gr farina 00
  • 4 tuorli
  • acqua calda
  • 1 pizzico di sale

Setacciare con cura la farina sulla spianatoia,
formare la fontana, mettere al centro le uova e un pizzico di sale.

Sbattere con una forchetta di legno le uova.

Incorporare la farina con la punta delle dita, partendo dai bordi della fontana.

Lavorare con le mani il composto per 15-20 minuti,
amalgamando bene gli ingredienti e avendo cura di cospargere di tanto in tanto la spianatoia con un poco di farina.

Aggiungere, se fosse il caso, acqua calda.

Continuare in questo modo fino ad ottenere un impasto sodo e omogeneo,
quando nella pasta iniziano a vedersi delle bollicine, raccoglierla formando una palla.

Lasciarla riposare in una ciotola per 30 minuti.

Altro modo:
mettere gli ingredienti nella impastatrice con gancio o con l’impastatore a fruste ritorte
e lavorarli fino ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo,
aggiungere acqua calda alla bisogna, velocità 4 per 10 minuti,
eventualmente terminare la lavorazione a mano.

Lasciarla riposare in una ciotola per 30 minuti.

 

Tirare la sfoglia a mano, con il mattarello,
o con la macchinetta a manovella o elettrica. ( Ampia o Imperia )

Nel primo caso la sfoglia va lavorata ancora con le mani per alcuni minuti
e poi appiattita con il mattarello allargandola fino a formare un grande disco di spessore sottile ed omogeneo.

Si lascia riposare per 10 minuti coperta da un telo.

Con la macchina per tirare la pasta Ampia o Imperia

Passare l’impasto

  • 10 volte    sul     N°       1
  • 1   volta    sul     N°       3
  • 1   volta    sul     N°       5 o 6

 

Per tagliatelle, tagliolini, fettuccine passare i fogli di pasta sottile
nelle apposite trafile site sulla macchina Imperia o Ampia.

Montare sulla macchina l’accessorio per tagliatelle,
passare le strisce di pasta ricavate e depositare le tagliatelle fuoriuscite sulla spianatoia un po’ infarinata,
sparigliarle in modo che non si attacchino le une con le altre.

 

In una padella antiaderente mettere a sfrigolare 40gr di burro.

Aggiungere la passata di pomodoro,
pepe sale e cuocere per 15 minuti a fiamma bassa.

Unire i pisellini, il peperone a listarelle,
il prosciutto a dadini, le fettine di tartufo
e cuocere per 10 minuti a fiamma bassa.

Mettere le fettuccine o tagliatelle in una pentola con acqua bollente leggermente salata
e cuocere secondo le istruzioni riportate sulla confezione dal produttore,
per quelle fatte in casa 4 minuti dalla ripresa del bollore.

Scolarle al dente le fettuccine o tagliatelle versarle in una zuppiera,
versare sopra la panna calda, il rimanente burro a pezzetti, la salsa preparata,
spolverizzare con 60gr di parmigiano e mescolare bene.

 

Servire in tavola direttamente nella zuppiera
con a parte il restante parmigiano nella formaggera.

 

 

 

Nota

Le Fettuccine alla Modenese sono un primo piatto semplice da preparare specie se si usano quelle secche già pronte da cuocere.

Un tartufo è il corpo fruttifero di un fungo Ascomycota sotterraneo. La maggior parte dei tartufi appartengono al genere Tuber, ma esistono anche altri generi di funghi appartenenti a questa categoria oltre un centinaio.

Talune specie di tartufo costituiscono un’essenza alimentare estremamente pregiata, ricercata e costosa; altre specie sono invece considerate di poco pregio o, talvolta, perfino lievemente tossiche. In ogni caso i tartufi emanano un tipico profumo penetrante e persistente che si sviluppa solo a maturazione avvenuta e che ha lo scopo di attirare gli animali selvatici come maiale, cinghiale, tasso, ghiro, volpe, nonostante la copertura di terra, per spargere le spore contenute e perpetuare la specie. Tali frutti ipogei vengono individuati con l’aiuto di cani e raccolti a mano.

La scienza che studia i tartufi si chiama idnologia e deriva dal greco ὕδνον, hýdnon.

Le specie di questo genere presentano il carpoforo globoso, con la superficie esterna (peridio) liscia o verrucosa, l’interno (gleba) marmorizzato, spore brune, sub-globose o ellissoidali, reticolate o spinose.

Lo storico Giordano Berti, fondatore dell’Archivio Storico del Tartufo, ha dimostrato in modo convincente che il termine tartufo deriva da terra tufide tubera o anche da terra tufule tubera. Questo titolo appare in testa a un’illustrazione della raccolta del tartufo contenuta nel Tacuinum sanitatis, codice miniato a contenuto naturalistico risalente al XIV secolo, conosciuto in diverse versioni. Il termine tartufo deriva quindi, secondo Berti, dalla somiglianza che si ravvisava tra questo fungo ipogeo e il tufo, pietra porosa tipica dell’Italia centrale. Il termine si contrasse poi in terra tufide e nei dialettali tartùfola, trìfula, tréffla, trìfola. Il termine tartufo cominciò a diffondersi in Italia nel Seicento, ma nel frattempo la dizione volgare era già emigrata in Europa assumendo varie dizioni.

I tartufi sono relativamente rari, in quanto la loro crescita dipende da fattori stagionali, oltre che ambientali. In certe annate di particolare scarsità arrivano a costare cifre molto elevate. Nel 2016 un importante cuoco cinese pagò oltre 100.000 euro per un unico esemplare di tartufo bianco di 1170 grammi, messo all’asta. L’Italia è il primo produttore ed esportatore al mondo del Tuber magnatum bianco pregiato per quanto riguarda la qualità e quantità; nell’intera Penisola è possibile raccogliere tutte le specie di tartufo impiegate in gastronomia.

Le più importanti zone di produzione di tartufo bianco, per via della loro conformazione geografica, sono il Piemonte (in particolare Alba, in provincia di Cuneo, la provincia di Asti, la Provincia di Alessandria in particolare le Valli Curone, Grue, Ossona e Borbera e una parte della provincia di Torino), la Lombardia sud-orientale (Carbonara Po, in provincia di Mantova, nella protetta Isola Boscone), l’Emilia Romagna (tutta la fascia appenninica a partire da Piacenza, e in particolare i colli bolognesi e forlivesi), la Toscana (specialmente i comuni di San Miniato, in provincia di Pisa e San Giovanni D’Asso, in provincia di Siena), l’Umbria (Città di Castello, Umbertide, Gubbio e Norcia, in provincia di Perugia), le Marche (con in testa Acqualagna e Sant’ Angelo in Vado, in provincia di Pesaro-Urbino; molto apprezzata anche la zona dei Monti Sibillini), l’Abruzzo con il paese di Ateleta, in provincia dell’Aquila, Quadri (provincia di Chieti), e il Molise, le cui zone di maggior raccolta sono quelle ricadenti nei comuni di Larino e Spinete, in provincia di Campobasso, e Frosinone, San Pietro Avellana e Vastogirardi in provincia d’Isernia.

Molto più comune invece il tartufo nero, che vede in Umbria e in Molise alcune delle zone più vocate alla sua produzione, sia della varietà estiva (il cosiddetto scorzone), sia della più pregiata varietà invernale (Tuber melanosporum). Altre produzioni, di recente scoperta, si individuano in Campania (Sannio e Irpinia), Puglia (Roseto Valfortore), Basilicata, Calabria e Sicilia, dove i tartufi hanno iniziato a essere valorizzati solo in tempi recentissimi.

Il Delta del Po, in Veneto, è un’altra zona che bene si presta a ospitare la produzione dello scorzone, ma anche del Tuber albidum, detto marzolino o bianchetto.

In Italia è sempre possibile raccogliere tartufi, salvo durante il periodo di fine aprile. Tradizionalmente la raccolta era compiuta impiegando un maialino.

Il problema di tale metodo è che il maiale è ghiotto di tartufi, ed occorre trattenerlo per impedirgli di mangiare il ritrovato. Inoltre è vietato dalla legge poiché nella ricerca causa danni ambientali. Invece in alcune regioni della Francia, in particolare nel Lot e nel Perigord, si usa ancor oggi andare in cerca di tartufi con maiali perfettamente addestrati.

Al giorno d’oggi, in Italia si impiegano esclusivamente cani debitamente addestrati. Non si impiegano razze particolari (a parte il lagotto romagnolo), al contrario in genere si sceglie un meticcio di piccola taglia.

La coltivazione del tartufo o tartuficoltura è allo stadio sperimentale in Italia ed in Francia. Per creare un terreno adatto alla produzione intensiva del tartufo, o tartufaia coltivata, occorre scegliere un terreno calcareo e povero di humus, scegliere una varietà di tartufo ed impiantare essenze arboree ed arbustive tartufigene (Quercia, Nocciolo, Salice, Leccio e Pioppo). I risultati della tartuficoltura sono stati deludenti con le specie più pregiate di tartufo (Tuber Magnatum), mentre con le altre, la produzione raggiunge ottimi livelli di qualità e quantità. Data la forte domanda non ci sono stati ancora forti impatti sui prezzi.

Raramente viene commercializzato intero e fresco, a causa del costo esorbitante, della difficoltà di trasporto e conservazione e della caratteristica attitudine del tartufo a essere trasformato in modo creativo. È sufficiente infatti una ridottissima quantità di tartufo per insaporire un piatto o una salsa e l’enorme valore aggiunto della lavorazione stimola il proliferare di piccole imprese di trasformazione.

Vengono preparati normalmente vasetti con tartufi interi di piccole dimensioni e anche altri prodotti a base di tale fungo: carpaccio (ovvero a fettine molto sottili), salse pronte comprendenti in genere una base di funghi, che si prestano all’uso su crostini, frittate, bruschette, pasta di grano duro, pasta fresca o di soia, bistecche di filetto. Altre preparazioni comuni sono la grappa e l’amaro al tartufo.

Gli oli di oliva aromatizzati al tartufo sono molto richiesti, ma a causa di difficoltà insite nel processo di produzione, la maggior parte di essi vengono preparati con aroma di sintesi a base di bis-metiltiometano. Tale aroma viene spesso aggiunto anche a salse con polpa di tartufo. Per evitare di acquistare prodotti sintetici occorre osservare se sull’etichetta appare la dicitura “aroma” che significa, in pratica, a base di bis-metiltiometano]. Quando il prodotto è naturale in genere non appare alcuna specifica oppure è specificato come “aroma naturale”. Alcune preparazioni particolari si stanno affermando grazie all’inventiva dei produttori, come le peschette al tartufo d’Abruzzo, preparati con pesche verdi nane, olio ed aceto.

Queste sono le specie la cui raccolta è consentita in Italia. Esistono altre specie, lievemente tossiche e di odore nauseabondo, e che quindi non si prestano alla raccolta. Non esistono specie molto tossiche o velenose.

Tartufo bianco pregiato, Tuber Magnatum Pico, Tartufo nero pregiato, Tuber Melanosporum Vittad, Tartufo moscato De Ferry, Tartufo nero estivo Scorzone, Vittad, Tartufo uncinato Chatin, Tartufo nero invernale Vittad,

Tartufo bianchetto o Marzolino Vittad, Tuber albidum Pico, Tartufo nero liscio Vittad, Tartufo nero ordinario o tartufo di Bagnoli Vittad, Tartufo rossetto Pico.

La denominazione Vitt. o Vittad. si riferisce a Carlo Vittadini, scopritore di diverse specie.

(Visited 287 times, 1 visits today)
Pubblicità
Pubblicità
alla ModenesefettuccineFettuccine alla ModeneseModenese