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Fettuccine alla Piemontese

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Ingredienti

Regolare le porzioni
400gr Fettuccine o tagliatelle secche o fatte in casa
80gr Parmigiano Reggiano
70gr Burro
1 piccolo Tartufo bianco di Alba
qb Sale
Per salsa
200gr Carne trita di manzo
250gr Passata di pomodoro
20gr Burro
1 Carote
1 Cipolla
1 costa Sedano
1/2 bicchiere Vino bianco secco
3 cucchiai Olio Evo
qb Noce moscata
qb Pepe
qb Sale

informazioni Nutrizionali

4,2g
Proteine
140k
Calorie
2,9g
Grassi
25,3g
Carboidrati
0,7g
Zuccheri

Fettuccine alla Piemontese

Fettuccine alla Piemontese

Caratteristiche:
  • Tradizionale

Fettuccine alla Piemontese:
Mettere le fettuccine o tagliatelle in una pentola con acqua bollente leggermente salata e cuocere secondo le istruzioni riportate sulla confezione dal produttore, per quelle fatte in casa cuocere per 4 minuti dalla ripresa del bollore.
Scolarle al dente le fettuccine o tagliatelle versarle in una zuppiera, versare il burro a fiocchetti, metà del parmigiano, pepe, noce moscata e mescolare.
Cospargere il tutto con le fettine di tartufo.
Servire in tavola direttamente nella zuppiera con il sugo di carne servito a parte nella ciotola ed il rimanente parmigiano in formaggera, tutto a disposizione dei commensali.

  • 60
  • Serves 4
  • Facile

Ingredienti

  • Per salsa

Direzione

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Fettuccine alla Piemontese

Le Fettuccine alla Piemontese sono un primo piatto gustoso, ideale per un pranzo od una cena, anche importante, in famiglia o con amici.

Per le Fettuccine alla Piemontese
disporre tutti gli ingredienti dosati sul piano di lavoro.

Togliere il burro dal frigorifero
e tenere a temperatura ambiente.

Pulire, lavare, tritare la cipolla
e tenere da parte.

Pelare, tritare l’aglio
e tenere da parte.

Pelare, lavare, la carota
e tenere da parte.

Lavare, pestare con la lama di un coltello la gamba di sedano,
tagliarla a pezzetti e tenere da parte.

Pulire con carta assorbente da cucina,
il tartufo asportando tutte le impurità.

Sul piano di lavoro, con un coltello ben affilato,
affettarlo sottilmente e tenere da parte.

 

Se si desidera fare le fettuccine o tagliatelle all’uovo in casa:

Ingredienti:

  • 400gr farina 00
  • 4 tuorli
  • acqua calda
  • 1 pizzico di sale

Setacciare con cura la farina sulla spianatoia,
formare la fontana, mettere al centro le uova
e un pizzico di sale.

Sbattere con una forchetta di legno le uova.

Incorporare la farina con la punta delle dita,
partendo dai bordi della fontana.

Lavorare con le mani il composto per 15-20 minuti,
amalgamando bene gli ingredienti e avendo cura di cospargere di tanto in tanto
la spianatoia con un poco di farina.

Aggiungere, se fosse il caso, acqua calda.

Continuare in questo modo fino ad ottenere un impasto sodo e omogeneo,
quando nella pasta iniziano a vedersi delle bollicine, raccoglierla formando una palla.

Lasciarla riposare in una ciotola per 30 minuti.

 

Altro modo:
mettere gli ingredienti nella impastatrice con gancio o con l’impastatore a fruste ritorte
e lavorarli fino ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo,
aggiungere acqua calda alla bisogna, velocità 4 per 10 minuti,
eventualmente terminare la lavorazione a mano.

Lasciarla riposare in una ciotola per 30 minuti.

Tirare la sfoglia a mano, con il mattarello,
o con la macchinetta a manovella o elettrica.
( Ampia o Imperia )

Nel primo caso la sfoglia va lavorata ancora con le mani per alcuni minuti
e poi appiattita con il mattarello allargandola fino a formare un grande disco
di spessore sottile ed omogeneo.

Si lascia riposare per 10 minuti coperta da un telo.

Con la macchina per tirare la pasta Ampia o Imperia

Passare l’impasto

  • 10 volte    sul     N°       1
  • 1   volta    sul     N°       3
  • 1   volta    sul     N°       5 o 6

Per tagliatelle, tagliolini, fettuccine passare i fogli di pasta sottile
nelle apposite trafile site sulla macchina Imperia o Ampia.

Montare sulla macchina l’accessorio per tagliatelle,
passare le strisce di pasta ricavate e depositare le tagliatelle fuoriuscite
sulla spianatoia un po’ infarinata, sparigliarle in modo che non si attacchino le une con le altre.

 

Preparazione della Salsa:

In una padella antiaderente mettere a sfrigolare 1 noce di burro.

Aggiungere la cipolla, la carota,
il sedano tutti tritati e far imbiondire per 5 minuti a fiamma vivace
e tenere da parte.

Unire la carne trita, far rosolare in ogni sua parte
e mescolare bene.

Versare il vino, pepe, sale, 2 grattate di noce moscata,
far evaporare il vino completamente e togliere dal fuoco.

Aggiungere la passata di pomodoro e cuocere a fiamma bassa per 40 minuti,
se la preparazione asciugasse troppo versare qualche cucchiaio di acqua calda.

Togliere dal fuoco, versare il sugo di carne in una ciotola
e tenere da parte.

 

Mettere le fettuccine o tagliatelle in una pentola con acqua bollente leggermente salata
e cuocere secondo le istruzioni riportate sulla confezione dal produttore,
per quelle fatte in casa cuocere per 4 minuti dalla ripresa del bollore.

Scolarle al dente le fettuccine o tagliatelle versarle in una zuppiera,
versare il burro a fiocchetti, metà del parmigiano,
pepe, noce moscata e mescolare.

Cospargere il tutto con le fettine di tartufo.

Servire in tavola direttamente nella zuppiera
con il sugo di carne servito a parte nella ciotola
ed il rimanente parmigiano in formaggera,
tutto a disposizione dei commensali.

 

 

 

 

Nota

Le Fettuccine alla Piemontese sono un primo piatto della tradizione culinaria del Piemonte.

Un tartufo è il corpo fruttifero di un fungo Ascomycota sotterraneo. La maggior parte dei tartufi appartengono al genere Tuber, ma esistono anche altri generi di funghi appartenenti a questa categoria oltre un centinaio.

Talune specie di tartufo costituiscono un’essenza alimentare estremamente pregiata, ricercata e costosa; altre specie sono invece considerate di poco pregio o, talvolta, perfino lievemente tossiche. In ogni caso i tartufi emanano un tipico profumo penetrante e persistente che si sviluppa solo a maturazione avvenuta e che ha lo scopo di attirare gli animali selvatici come maiale, cinghiale, tasso, ghiro, volpe, nonostante la copertura di terra, per spargere le spore contenute e perpetuare la specie. Tali frutti ipogei vengono individuati con l’aiuto di cani e raccolti a mano.

La scienza che studia i tartufi si chiama idnologia e deriva dal greco ὕδνον, hýdnon.

Le specie di questo genere presentano il carpoforo globoso, con la superficie esterna (peridio) liscia o verrucosa, l’interno (gleba) marmorizzato, spore brune, sub-globose o ellissoidali, reticolate o spinose.

Lo storico Giordano Berti, fondatore dell’Archivio Storico del Tartufo, ha dimostrato in modo convincente che il termine tartufo deriva da terra tufide tubera o anche da terra tufule tubera. Questo titolo appare in testa a un’illustrazione della raccolta del tartufo contenuta nel Tacuinum sanitatis, codice miniato a contenuto naturalistico risalente al XIV secolo, conosciuto in diverse versioni. Il termine tartufo deriva quindi, secondo Berti, dalla somiglianza che si ravvisava tra questo fungo ipogeo e il tufo, pietra porosa tipica dell’Italia centrale. Il termine si contrasse poi in terra tufide e nei dialettali tartùfola, trìfula, tréffla, trìfola. Il termine tartufo cominciò a diffondersi in Italia nel Seicento, ma nel frattempo la dizione volgare era già emigrata in Europa assumendo varie dizioni.

I tartufi sono relativamente rari, in quanto la loro crescita dipende da fattori stagionali, oltre che ambientali. In certe annate di particolare scarsità arrivano a costare cifre molto elevate. Nel 2016 un importante cuoco cinese pagò oltre 100.000 euro per un unico esemplare di tartufo bianco di 1170 grammi, messo all’asta. L’Italia è il primo produttore ed esportatore al mondo del Tuber magnatum bianco pregiato per quanto riguarda la qualità e quantità; nell’intera Penisola è possibile raccogliere tutte le specie di tartufo impiegate in gastronomia.

Le più importanti zone di produzione di tartufo bianco, per via della loro conformazione geografica, sono il Piemonte (in particolare Alba, in provincia di Cuneo, la provincia di Asti, la Provincia di Alessandria in particolare le Valli Curone, Grue, Ossona e Borbera e una parte della provincia di Torino), la Lombardia sud-orientale (Carbonara Po, in provincia di Mantova, nella protetta Isola Boscone), l’Emilia Romagna (tutta la fascia appenninica a partire da Piacenza, e in particolare i colli bolognesi e forlivesi), la Toscana (specialmente i comuni di San Miniato, in provincia di Pisa e San Giovanni D’Asso, in provincia di Siena), l’Umbria (Città di Castello, Umbertide, Gubbio e Norcia, in provincia di Perugia), le Marche (con in testa Acqualagna e Sant’ Angelo in Vado, in provincia di Pesaro-Urbino; molto apprezzata anche la zona dei Monti Sibillini), l’Abruzzo con il paese di Ateleta, in provincia dell’Aquila, Quadri (provincia di Chieti), e il Molise, le cui zone di maggior raccolta sono quelle ricadenti nei comuni di Larino e Spinete, in provincia di Campobasso, e Frosinone, San Pietro Avellana e Vastogirardi in provincia d’Isernia.

Molto più comune invece il tartufo nero, che vede in Umbria e in Molise alcune delle zone più vocate alla sua produzione, sia della varietà estiva (il cosiddetto scorzone), sia della più pregiata varietà invernale (Tuber melanosporum). Altre produzioni, di recente scoperta, si individuano in Campania (Sannio e Irpinia), Puglia (Roseto Valfortore), Basilicata, Calabria e Sicilia, dove i tartufi hanno iniziato a essere valorizzati solo in tempi recentissimi.

Il Delta del Po, in Veneto, è un’altra zona che bene si presta a ospitare la produzione dello scorzone, ma anche del Tuber albidum, detto marzolino o bianchetto.

In Italia è sempre possibile raccogliere tartufi, salvo durante il periodo di fine aprile. Tradizionalmente la raccolta era compiuta impiegando un maialino.

Il problema di tale metodo è che il maiale è ghiotto di tartufi, ed occorre trattenerlo per impedirgli di mangiare il ritrovato. Inoltre è vietato dalla legge poiché nella ricerca causa danni ambientali. Invece in alcune regioni della Francia, in particolare nel Lot e nel Perigord, si usa ancor oggi andare in cerca di tartufi con maiali perfettamente addestrati.

Al giorno d’oggi, in Italia si impiegano esclusivamente cani debitamente addestrati. Non si impiegano razze particolari (a parte il lagotto romagnolo), al contrario in genere si sceglie un meticcio di piccola taglia.

La coltivazione del tartufo o tartuficoltura è allo stadio sperimentale in Italia ed in Francia. Per creare un terreno adatto alla produzione intensiva del tartufo, o tartufaia coltivata, occorre scegliere un terreno calcareo e povero di humus, scegliere una varietà di tartufo ed impiantare essenze arboree ed arbustive tartufigene (Quercia, Nocciolo, Salice, Leccio e Pioppo). I risultati della tartuficoltura sono stati deludenti con le specie più pregiate di tartufo (Tuber Magnatum), mentre con le altre, la produzione raggiunge ottimi livelli di qualità e quantità. Data la forte domanda non ci sono stati ancora forti impatti sui prezzi.

Raramente viene commercializzato intero e fresco, a causa del costo esorbitante, della difficoltà di trasporto e conservazione e della caratteristica attitudine del tartufo a essere trasformato in modo creativo. È sufficiente infatti una ridottissima quantità di tartufo per insaporire un piatto o una salsa e l’enorme valore aggiunto della lavorazione stimola il proliferare di piccole imprese di trasformazione.

Vengono preparati normalmente vasetti con tartufi interi di piccole dimensioni e anche altri prodotti a base di tale fungo: carpaccio (ovvero a fettine molto sottili), salse pronte comprendenti in genere una base di funghi, che si prestano all’uso su crostini, frittate, bruschette, pasta di grano duro, pasta fresca o di soia, bistecche di filetto. Altre preparazioni comuni sono la grappa e l’amaro al tartufo.

Gli oli di oliva aromatizzati al tartufo sono molto richiesti, ma a causa di difficoltà insite nel processo di produzione, la maggior parte di essi vengono preparati con aroma di sintesi a base di bis-metiltiometano. Tale aroma viene spesso aggiunto anche a salse con polpa di tartufo. Per evitare di acquistare prodotti sintetici occorre osservare se sull’etichetta appare la dicitura “aroma” che significa, in pratica, a base di bis-metiltiometano]. Quando il prodotto è naturale in genere non appare alcuna specifica oppure è specificato come “aroma naturale”. Alcune preparazioni particolari si stanno affermando grazie all’inventiva dei produttori, come le peschette al tartufo d’Abruzzo, preparati con pesche verdi nane, olio ed aceto.

Queste sono le specie la cui raccolta è consentita in Italia. Esistono altre specie, lievemente tossiche e di odore nauseabondo, e che quindi non si prestano alla raccolta. Non esistono specie molto tossiche o velenose.

Tartufo bianco pregiato, Tuber Magnatum Pico, Tartufo nero pregiato, Tuber Melanosporum Vittad, Tartufo moscato De Ferry, Tartufo nero estivo Scorzone, Vittad, Tartufo uncinato Chatin, Tartufo nero invernale Vittad,

Tartufo bianchetto o Marzolino Vittad, Tuber albidum Pico, Tartufo nero liscio Vittad, Tartufo nero ordinario o tartufo di Bagnoli Vittad, Tartufo rossetto Pico.

La denominazione Vitt. o Vittad. si riferisce a Carlo Vittadini, scopritore di diverse specie.

 

 

Crostini con Tartufi

 

Agnolotti alla Piemontese

 

 

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Chef Ricettiamo

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La mia collezione personale di ricette. Provale sono tutte state preparate e provate personalmente. Buon appetito :D

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