Frittelle di Polenta alla Lodigiana
Le Frittelle di Polenta alla Lodigiana sono un piatto versatile si possono servire come antipasto o come secondo piatto, gustoso e saporito ideale un pranzo od una cena in famiglia o con amici o per un buffet.
Per le Frittelle di Polenta alla Lodigiana
disporre tutti gli ingredienti dosati sul piano di lavoro.
In un piatto fondo mettere il pangrattato,
mescolarlo con il parmigiano e tenere da parte.
In un piatto fondo sbattere con i rebbi di una forchetta le uova
con 1 pizzico di sale e tenere da parte.
Dalle fette di polenta con uno stampino di 5cm di diametro,
ricavare dei dischi.
Se non si avesse a disposizione avanzi di polenta vedi nota.
Mettere sopra la metà dei dischi preparati 1 fetta di emmental
ed 1 fetta di prosciutto crudo e coprire con l’altra metà dei dischi
in modo da formare un tramezzino di polenta.
Passare i tramezzini nelle uova sbattute
poi nel pangrattato e parmigiano.
In una padella antiaderente mettere a sfrigolare l’olio di arachidi.
Aggiungere i tramezzini panati e far friggere in ogni loro parte,
girandoli ogni tanto fino a doratura completa.
Depositare le frittelle ottenute su carta assorbente da cucina
per far rilasciare l’olio in eccesso.
Depositarle su di un piatto di portata.
Servire subito in tavola
direttamente sul piatto di portata.
Nota
POLENTA SENZA MESCOLARE
Valgono multipli e sottomultipli
Un trucco per evitare di dover sempre mescolare la polenta:
Mettere in una pentola a fondo spesso a far bollire 5 litri di acqua salata, 1 cucchiaio sale grosso e mettere in un colpo 1kg. di farina per polenta.
Mescolare con la frusta facendo amalgamare bene la farina con l’acqua.
Abbassare la fiamma coprire con un coperchio e cuocere per circa 50 minuti senza più rimestare.
Si formerà una crosticina sulle pareti della pentola ma la polenta non brucerà.
Far raffreddare, tagliare le 8 fette e seguire la ricetta di cui sopra.
Il prosciutto crudo è un salume tipico italiano (prodotto agroalimentare tipico italiano) ottenuto dalla salatura a secco dalla coscia del maiale, in particolare da animali che hanno raggiunto un peso intorno ai 150 kg.
Specialità ottenute dallo stesso taglio anatomico in nazioni diverse dall’Italia assumono nomi specifici e non possono essere assimilate al prodotto italiano, soprattutto in virtù del fatto che la specificità del prosciutto crudo italiano risiede nelle particolari tecniche produttive e nella stagionatura in microclimi specifici.
Le prime notizie della produzione di prosciutto in Italia possono ricondursi alla civiltà Etrusca del VI E V secolo A.C., ma soprattutto alla civiltà dell’antica Roma, esiste tuttora una via romana denominata “Panisperna” (panis=pane e perna=coscia di maiale).
Le testimonianze di storici dell’epoca romana non mancano, ed infatti Ippocrate nel V secolo A.C. considerava la carne di maiale ” quella che fornisce più energia al corpo e la più digeribile”.
Ancora, Catone nel II secolo A. C. nel suo De Agricoltura spiegava i metodi di conservazione della coscia di suino.
Il maiale che abita per lo più nella Maremma Toscana e nella Pianura Padana è considerato fonte di sostentamento ideale. Inoltre grazie ai processi messi in atto, seppur in maniera ancora rudimentale, diviene il pasto più facile per gli eserciti.
La conservazione a lunga durata per i tempi permetteva a questo prodotto di essere una provvista eccellente e duratura, in grado di fornire anche le proteine necessarie per essere fonte di sostentamento per qualche giorno.
Il prosciutto crudo si ottiene tramite salatura e successiva stagionatura della coscia (arto posteriore) del maiale; tale taglio di carne è detto infatti “prosciutto”. In nessun caso può essere utilizzato il termine “prosciutto crudo” per definire specialità salate ottenute da altre parti anatomiche del suino, ivi compresa la spalla.
Il prosciutto crudo viene conciato a secco e lavorato con sale marino. Alcuni disciplinari di prosciutti DOP escludono tassativamente l’impiego di conservanti, mentre nella maggior parte dei prosciutti prodotti in Italia è consentito l’uso di nitrati nelle quantità previste dalla legge. L’utilizzo di nitrati è comunque molto raro. Dopo la salatura iniziale e l’inizio dei processi di fermentazione, il prosciutto crudo viene stagionato (e in questa fase perde una buona percentuale di acqua: la parola prosciutto deriva, infatti, dal latino perexsuctum che significa “prosciugato”).
Dal punto di vista prettamente tecnico, il processo di stagionatura può essere equiparato a quello di una naturale mummificazione per disidratazione
Alcune varietà italiane di prosciutto sono: Prosciutti di Parma in essiccazione, prosciutto del Carso, p. di Carpegna, p. di casaletto, p. di Castelnuovo, prosciutto di cinta senese, p. di Cormons, p. di Cuneo, p. di Faeto, p. di Faleria, p. di Modena, p. di Monte, p. dei Nebrodi, p. di Norcia, p. di Parma, p. di Pietraroja, p. di San Daniele, p. Toscano, prosciutto Pratomagno, prosciutto Veneto-Berico- Euganeo, p. Sardo, p. di Sauris, Jambon de Bosses, p. di Trevico, p. di Venticano, prosciutto di Villagrande Strisaili.