Pastizzada Veneta

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Pastizzada Veneta

La Pastizzada Veneta è un secondo piatto saporito ed appetitoso, ottimo da gustare a pranzo od a cena con familiari ed amici in ogni occasione specie nella stagione autunno-inverno.

Per la Pastizzada Veneta
disporre tutti gli ingredienti dosati sul piano di lavoro.

Pelare, tagliare l’aglio a filetti grossolani
e tenere da parte.

Il giorno prima di cucinarla, lavare, asciugare con carta assorbente da cucina,
la polpa, steccarla con le fese di aglio, i chiodi di garofano,
metterla a marinare in una ciotola capiente con il vino rosso, la cannella,
salare, pepare e tenere da parte.

Pulire, lavare, tagliare a filetti sottili le cipolle
e tenere da parte.

In una padella antiaderente mettere il burro a sfrigolare aggiungere la carne
e farla rosolare in ogni sua parte con le cipolle.

Versare il vino della marinatura poco per volta,
rigirare la carne.

Aggiungere la salsa di pomodoro e mescolare bene,
cuocere per 60 minuti a pentola coperta e a fiamma bassa,
ogni tanto rigirare la carne.

Togliere la pastizzada dalla padella
e depositarla su di un piatto di portata,
affettarla e tenere al caldo.

 

Servire in tavola su piatto di portata
o ad ogni commensale su piatto individuale.

 

 

Nota
La Pastizzada Veneta si accompagna con la polenta, ma anche con patate  al forno e qualsiasi tipo di verdura cotta a piacere.

La Pastizzada Veneta originariamente era cucinata con carne di cavallo ma da qualche tempo è stata sostituita con carne di manzo.

La nascita della ricetta originale Veronese affonda nella notte dei tempi, infatti secondo alcuni antichi racconti, riportati da Cesare Marchi, dopo la grande battaglia tra Teodorico e Odoacre nel 489 D.C., quest’ultimo avrebbe concesso ai veronesi ormai in preda alla fame, di potersi cibare dei cavalli caduti sul campo di battaglia.

Giulio Cesare Croce scrive di questa vicenda, e indica proprio nel contadino Bertoldo colui che suggerì a Teodorico la ricetta della pastissada, per non dover mangiare le carcasse degli animali già semi-putrefatte: mettendole prima per qualche tempo in alcune anfore piene di spezie l’odore e il sapore, appunto, della putrefazione, sarebbero stati coperti.

L’abitudine di mangiare carne di cavallo avrebbe così preso piede, nonostante gli interdetti lanciati ripetutamente dai vescovi nei secoli successivi: oltre ad essere considerato animale domestico, il cavallo era associato dalla chiesa ai culti pagani nordici (nella tradizione germanica esso era immolato al momento della morte del condottiero per aiutarlo a raggiungere il Vallhalla, oltretomba di Odino). Agli occhi dei cristiani era la bestia preferita dal diavolo, capace di “possedere” il destriero disarcionando e uccidendo il padrone: due sono le storie di cavalli indemoniati scolpite sul portale di san Zeno.

La prima riguarda un carrettiere trasportato via di furia dal suo cavallo ma salvato dal santo proprio mentre stava per finire nell’Adige.

La seconda è contenuta nella famosa leggenda di Teodorico, scolpita in parte sulle formelle romaniche in bronzo del portale (ora non visibili per il portone esterno che le ricopre), e rielaborata dai versi di Carducci “ La leggenda di Teodorico”: essa racconta di come il re goto, dopo avere fatto un bagno nell’Adige, montasse su un destriero per andare a caccia: in realtà il cavallo era Satana che lo trasportò in gran carriera oltre gli Appennini, per scaricarlo nella bocca di un Vulcano:

«Quivi giunto il caval nero
Contro il ciel forte springò
Annitrendo; e il cavaliero
Nel cratere inabissò.»

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