Sfincione Palermitano
Lo Sfincione Palermitano o Sfinciuni o Spinciuni è una gustosa specialità della tradizione culinaria Siciliana, è uno street food che si può gustare come companatico o come deliziosa merenda o per un buffet.
Per lo Sfincione Palermitano
disporre tutti gli ingredienti dosati sul piano di lavoro.
In una ciotola piccola sciogliere il lievito di birra
e tenere da parte.
Sul piano di lavoro grattugiare il caciocavallo
e tenere da parte.
Pulire, lavare, tritare la cipolla
e tenere da parte.
Spremere un limone nello spremiagrumi
e tenere il succo da parte.
Sul piano di lavoro disporre la farina a fontana aggiungere 1 cucchiaio olio evo,
80gr caciocavallo grattugiato, il sale, il lievito di birra.
Il succo di limone e dell’acqua tiepida
ed impastare con le mani fino ad ottenere un impasto elastico,
morbido e liscio.
Mettere l’impasto in una ciotola capiente,
coprirla con pellicola per alimenti
e riporre per 30 minuti nel forno spento a riposare.
In una padella antiaderente
mettere a scaldare 2 cucchiai di olio evo.
Aggiungere la cipolla e far rosolare,
unire la salsa di pomodoro
e cuocere per 10 minuti
a fiamma moderata.
Togliere l’impasto dal forno spento,
metterlo in una teglia da forno unta con olio evo
e stenderlo nella teglia.
Distribuire sull’impasto i filetti di acciughe,
il soffritto di pomodoro
e far riposare per 10 minuti.
Spolverizzare la superfice dello sfincione con il restante caciocavallo,
il pangrattato, 2 cucchiai di olio evo e l’origano.
Infornare nel forno caldo a 250°C per 25 minuti
o fino a doratura.
Sfornare lo sfincione,
tagliarlo a quadri od a fette
e disporlo su di un piatto di portata.
Servire in tavola su piatto di portata.
Nota
Lo Sfincione Palermitano o Sfinciuni o Spinciuni si può consumare appena sfornata, tiepido o freddo.
In Sicilia per cuocere lo sfincione si usa una teglia apposita che si chiama “Tiella”.
Per cuocere più sfincioni contemporaneamente usare il forno ventilato.
Si possono usare teglie usa e getta di alluminio per cuocere più sfincioni contemporaneamente.
Il caciocavallo è un formaggio stagionato a pasta filata tipico dell’Italia centrale e meridionale. Prodotto con latte di vacca con l’aggiunta di solo caglio, fermenti lattici e sale, si conserva appeso a cavallo (da cui il nome) di una trave per l’essiccazione e si presenta, sagomato come il numero 8 con due corpi tondeggianti uniti da una strozzatura nel punto di appoggio sulla trave.
Le mucche destinate alla produzione vengono allevate allo stato brado, pascolando nella macchia mediterranea fino alle steppe appenniniche in luoghi ricchi di arbusti ed essenze di sottobosco. La presenza di piante aromatiche nella zona dove si è nutrito l’animale caratterizza le sue note aromatiche e i suoi profumi.
Le varietà più conosciute sono quelle di Agnone, di Castelfranco, del caciocavallo Silano, del caciocavallo Siciliano che a sua volta può essere di Godrano e del caciocavallo Podolico.
La prima certificazione ufficiale risale al DPR del 30 ottobre 1955.
L’etimologia del nome potrebbe anche derivare dall’uso di lavorare la pasta “a cavalluccio” o dal marchio di un cavallo che veniva impresso sulle forme di caciocavallo durante il Regno di Napoli. Un’altra ipotesi sull’origine della denominazione “caciocavallo” la fa derivare al periodo in cui veniva effettuata la transumanza e dalla consuetudine dei pastori nomadi di cagliare direttamente nei campi il latte munto e di appendere le forme di formaggio, in coppie, a dorso di cavalli per venderli o barattarli nei paesi attraversati.
In uno scritto napoletano dell’Ottocento è riportato che nei mercati cavalli e asini erano ornati di forme di caciocavallo accoppiate, anche se esistono diverse interpretazioni possibili sui motivi di quest’usanza e sulla sua rilevanza etimologica. In realtà, molti studi condotti partendo dalla constatazione dell’esistenza nei Balcani, fino dal XV secolo, di un diffusissimo formaggio di vacca chiamato Kashkaval, induce a pensare che il nome italiano e la tipologia del formaggio derivino in qualche modo dall’antenato Balcano/Ottomano.
In tutta l’area ottomana e oggi soprattutto nella zona che va dalla Turchia alla Bulgaria, il Kashkaval è il formaggio più prodotto e consumato e di qui esportato verso paesi ex ottomani.
Sembrerebbe che il nome abbia relazione con il termine ebraico Kosher, cioè puro/permesso dalla legge giudaica, ed infatti in varie zone del mondo ex ottomano si parla di questo formaggio come del formaggio degli ebrei, che lo avrebbero portato in Turchia a cavallo del 1500, dopo l’espulsione dal regno di Spagna e provenendo dalla Mancha, regione che oggi produce il celebre queso Manchego, peraltro a base di latte di pecora.
L’ingenua ipotesi che il nome italiano di caciocavallo derivi dal fatto che fosse in qualche modo collegato agli equini, appare in effetti estremamente debole, tuttavia ha curiosamente trovato accoglienza ampia, anche in pubblicazioni dotte e in manuali ed enciclopedie